Ipermodernità by Raffaele Donnarumma

Ipermodernità by Raffaele Donnarumma

autore:Raffaele, Donnarumma [Donnarumma, Raffaele]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Critica letteraria, Studi e Ricerche
ISBN: 9788815320421
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2014-10-14T22:00:00+00:00


La riflessione non assume una forma metaletteraria: qui, è il personaggio Roth a interrogarsi su un evento della storia, piuttosto che il narratore sulla narrazione. I due piani, però, interferiscono: la consapevolezza che il «tumore al cervello» «avrebbe ucciso» il padre va attribuita infatti al sapere posteriore e retrospettivo del narratore. Eppure, l’interferenza va fatta risuonare in tutte le sue armoniche: il Roth che sa già che il padre è morto è sia colui che scrive, sia l’uomo che ripensa, a distanza, alle vicende che ha vissuto. La distinzione tra personaggio, narratore e autore sfuma. In questa deliberata confusione, che cancella ciò che la prudenza narratologica vorrebbe tener separato, si gioca la specificità di questa scrittura, per la quale, tuttavia, la qualifica di autobiografia non sembra calzare perfettamente. Il sospetto di inverosimiglianza rischia di rompere il patto che, secondo Lejeune, regge quel genere; e il narratore ha introiettato il sospetto. L’episodio del cimitero rivela così che ogni scrittura ipermoderna dell’io, soprattutto se non è autofinzionale, lotta con il timore di essere ridotta a finzione, e che la sua specificità sta appunto in questa resistenza.

Le forme della resistenza sono, qui, quattro. La prima consiste nell’esplicitare il sospetto, senza però fugarlo del tutto. Il narratore esibisce l’evento improbabile con un gesto duplice: da un lato, ci fa vedere che le nostre esistenze, secondo la logica dell’autofiction, sono comunque impastate di qualcosa che ha l’odore della fiction e che si è ormai insediato nei fatti stessi, non solo nel loro racconto; dall’altro, protesta la propria onestà, secondo la logica autobiografica, e rivendica la verità nella forma dell’incredibile, o del difficilmente credibile: ‘credetemi, proprio perché io stesso fatico a crederci’. In secondo luogo, Roth deve fare i conti con un sapere che ridurrebbe razionalisticamente l’incredibile alla sua legge segreta. Questo sapere è la psicoanalisi che, proprio per il suo pandeterminismo o, se si può dire, per la sua tendenza panermeneutica, va disattivata: perciò Roth non ha agito «inconsciamente» (asserto che un freudiano invaliderebbe, classificandolo come denegazione). Se per esempio confrontiamo questo episodio con quello celebre del lapsus di Zeno, possiamo misurare una distanza sensibile: Svevo ha bisogno di evocare un senso segreto, ignoto al personaggio-narratore, per prenderlo in contropiede e far baluginare quell’orizzonte di verità positiva sul quale si stagliano la sua malafede e le sue rimozioni (in parte svelate, poco dopo, da Ada); Roth invece sbaraglia il campo da quella possibilità di chiusura e di significato, lasciando uno spazio aperto e inspiegato, che è, questa volta davvero, il Reale come lo intende Lacan. Eppure (e sono la due mosse successive) un piano di senso va comunque ricostituito, perché ogni scrittura dell’io è ossessionata dalla volontà di interpretare il vissuto e di installare in esso, per quanto provvisorio e incerto, un significato. Così, il caso e la coincidenza romanzesca vengono esibiti nella loro natura non solo di esca narrativa (la visita involontaria al cimitero preannuncia, come Roth dice a chiare lettere, il destino del padre di cui lui personaggio, in quel momento, non ha ancora certezza), ma addirittura di profezia.



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